Il jobs act – o legge del lavoro a tutele crescenti, è la nuova legge sul diritto del lavoro che il Governo Renzi ha varato nel corso del 2014. Se ne è molto parlato in questi anni, chi mettendo in luce le novità e dicendo che ha portato a un aumento dei posti di lavoro, chi attaccandola, perché riduce alcune garanzie per i lavoratori. Ma come stanno le cose? Quali vantaggi e quali problemi pone a chi entra o vuole entrare nel mondo del lavoro?
Le novità del jobs act per i neo occupati
Quello che è difficile spiegare è perché il governo abbia voluto chiamare con un nome inglese una legge italiana, ma sappiamo che l’uso dell’inglese è uno dei vezzi che oggi sono diffusi ovunque e non risparmiano nemmeno chi ci comanda. La legge è invece tutta italiana e presenta molte novità interessanti per chi si accinge a entrare nel mondo del lavoro o vuole trovare nuove strade.
La legge prevede molte cose, tra obblighi per le imprese, nuove forme di ammortizzatori sociali (quei provvedimenti che intervengono in caso di disoccupazione), ma le novità più rilevanti per i lavoratori sono appunto le tutele crescenti e l’abolizione di una serie di contratti che venivano definiti “parasubordinati”, cioè quelli maggiormente caratterizzati da precarietà e, qualche volta, da forzature, perché nascondevano lavori subordinati, chiamati semplicemente in modo diverso.
La logica della legge è quella di prevedere per il lavoro subordinato solo forme contrattuali di tipo dipendente, e questo è un sicuro vantaggio per il lavoratore.
I nuovi contratti di lavoro
Il contratto di lavoro è un accordo tra chi offre la sua capacità e il suo tempo (il lavoratore) e chi ha delle attività da effettuare per cui ha bisogno di collaboratori. Attraverso questo contratto si regolano i rapporti tra le due parti. Ai tempi dei nostri padri (o forse dei nonni), il rapporto subordinato, quello in cui chi lavora si sottopone alla disciplina e all’organizzazione di qualcun altro, era sempre a tempo indeterminato, cioè non aveva fine, durava fino alla pensione. Per questo era tutelato da possibili discriminazioni o abusi da parte del datore di lavoro e vi era previsto il cosiddetto reintegro da parte del lavoratore in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. Era il famoso articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che appunto tutelava da abusi.
Oggi il lavoro è diverso, molto meno stabile, molto incline ai cambiamenti di scenario, ai rapidi mutamenti del mercato e delle tecnologie. Le imprese hanno bisogno di maggiore flessibilità e per questo il legislatore ha previsto nel tempo delle forme contrattuali più capaci di interpretare i cambiamenti di contesto. Ecco la nascita dei contratti parasubordinati, quelli regolati con i contratti coordinati, i famosi co.co.co oppure i co.co.pro. Sono contratti di lavoro che hanno una durata e che immaginano che il lavoratore, pur lavorando alle dipendenze del datore, abbia una sua libertà organizzativa, e quindi non sia considerato un vero dipendente. Ma questa tipologia di lavoro ha finito in realtà per essere usata semplicemente come lavoro subordinato a termine, eliminando tutte le garanzie e i diritti dei lavoratori che si trovavano in questa condizione. Su questo è intervenuto il jobs act, cercando di eliminare queste forzature e queste distorsioni, senza però eliminare completamente la possibilità per l’impresa di utilizzare forme contrattuali flessibili e a termine.
Lavoro a tempo determinato e a tempo indeterminato
Il jobs act punta a trasformare tutti i lavori subordinati entro due grandi categorie, il lavoro a tempo indeterminato e quello a tempo determinato. Il primo è detto a tutele crescenti, perché sostituisce le garanzie dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori con tutele economiche che crescono con il passare degli anni di lavoro.
Lo Statuto dei Lavoratori è una vecchia legge degli anni Sessanta del secolo scorso e garantisce appunto una serie di diritti ai lavoratori; l’articolo 18 di questa legge definisce che un lavoratore non può essere licenziato senza una giusta causa (un motivo oggettivo, il ridimensionamento dell’azienda ad esempio) o un giustificato motivo (un motivo soggettivo, ad esempio l’indisciplina grave del lavoratore).
Con il jobs act queste tutele vengono meno, sostituite da un rimborso economico proporzionale agli anni di lavoro. È una perdita di diritti, che comunque riguarda solo i nuovi assunti e non le persone che già lavoravano al momento di attuazione della legge. Il governo l’ha motivata con le nuove esigenze di flessibilità delle imprese, che possono avere esigenze improvvise che non vengono motivate.
Maggiore difesa degli interessi d’impresa, perdita di potere da parte dei lavoratori, solo in parte compensata dall’estensione delle tutele crescenti anche ai lavoratori delle imprese con meno di quindici dipendenti, che prima non godevano dei diritti garantiti dall’articolo 18. Sono i costi della globalizzazione e della concorrenza che si fa, con il costo del lavoro e le condizioni lavorative, tra stati per offrire le migliori opportunità alle imprese.
Il vantaggio per i lavoratori dovrebbe essere garantito dalla maggior competitività delle imprese italiane, e dalla diminuita preoccupazione che qualcuno vada via dall’Italia alla ricerca di condizioni nettamente migliori per fare impresa.
La scomparsa dei lavori parasubordinati
Un altro deciso miglioramento è garantito dalla scomparsa dei lavori cosiddetti parasubordinati, che erano non solo pagati meno, ma non avevano alcuna garanzia. Oggi chi vuole assumere a tempo determinato, lo può fare con più libertà, ma pagando i contributi di un lavoro dipendente (e quindi maggiori per la futura pensione) e garantendo un contratto nazionale, e tutte le garanzie sulle ferie, la malattia, la gravidanza. Quindi si lavora sapendo che ci sarà un termine al proprio impegno, ma durante il tempo di lavoro si verrà trattati come tutti gli altri lavoratori. E molte imprese utilizzano questa formula come prova: se il lavoratore dimostra capacità e impegno, ecco che scatta l’assunzione a tempo indeterminato, che appunto non ha termine e garantisce quella stabilità che è il sogno di tanti giovani.
Conclusioni
Il jobs act elimina le forme contrattuali parasubordinate, ritenendole non sufficientemente garantiste per il lavoratore, ma concede all’impresa una flessibilità maggiore per rispondere ai mutamenti di contesto, introducendo però per il lavoratore a tempo indeterminato che viene licenziato delle tutele che crescono con il tempo passato al lavoro.
Tutti, imprese e lavoratori, devono affrontare un mondo più difficile, in cui le garanzie e le sicurezze non si danno per legge, ma si ottengono con l’impegno, la disponibilità a investire, i progetti a lungo termine.