Qual è il reale andamento del mercato del lavoro? Quali sono le prospettive e le opportunità? E i dati che dicono? È difficile orientarsi, perché i dati sono da interpretare e alcuni elementi sembrano in contraddizione.
Mercato del lavoro in crescita
Alla fine del 2017 l’Istat ha pubblicato un rapporto sul lavoro molto interessante, elaborato in collaborazione con gli enti che si occupano di lavoro (l’Inps, l’Inail), e vediamo perciò di ricavare le informazioni più utili e interessanti.
Il primo elemento da considerare è che il numero di occupati cresce e cresce il numero di ore lavorate. Il numero di nuovi occupati tra il 2013 e il 2016 è di 916 mila posizioni in più. Cioè la ripresa economica sta producendo risultati anche in termini occupazionali. Un po’ tutti i settori contribuiscono: l’industria, i servizi (in modo più significativo), l’agricoltura. Resta in crisi la pubblica amministrazione che subisce il blocco delle assunzioni e i lavori autonomi, che diminuiscono. È in sempre maggior diminuzione il lavoro nel settore in crisi da anni dell’edilizia.
Il lavoro giovanile, l’industria, i servizi
Un settore che era stato particolarmente penalizzato dalla crisi è stato quello del lavoro giovanile e anche qui vediamo dei miglioramenti, anche se non soddisfacenti: negli ultimi due anni, il tasso di occupazione delle persone tra 15-34enni cresce nel 2015 (+0,) e nel 2016 e (+0,7 punti.
Ma quali tipologie di lavoro crescono? Crescono i dipendenti, sia quelli a tempo indeterminato che quelli a termine, e questi più degli altri. Questo insieme di dati ci indica che le imprese hanno iniziato a assumere di nuovo, che c’è più lavoro anche per numero di ore lavorate, che le imprese spesso assumono a tempo determinato, ma poi trasformano il contratto in tempo indeterminato. Tra il 2012 e il 2016 vi è stato coinvolto un numero crescente di lavoratori: da 1,5 a 1,8 milioni di lavoratori.
Crescono anche i lavori a termine, fatti da due componenti: i cosiddetti lavoretti, cioè lavori molto saltuari e privi di continuità e i contratti di occupazione a tempo determinato. Sono scomparsi, dopo l’approvazione del jobs act, i contratti di collaborazione, che erano quasi sempre una forma mascherata di impiego mal pagato e specialmente, mal regolato.
Dunque cresce il numero di occupati, scende la percentuale di disoccupazione (è all’11, 2 % nel secondo trimestre del 2017 e tende al miglioramento). Sale il tasso di occupazione che è vicino ai massimi del 2008 e cioè arriva al 57,8%. Questo è un dato importante, perché l’indice di disoccupazione riguarda chi cerca lavoro, e cioè solo quelle persone che hanno ancora speranza di lavorare. In periodi di crisi crescono gli scoraggiati, che escono completamente dal mercato del lavoro e non vengono conteggiati. Invece il tasso di occupazione crescente indica che ci sono molte persone, sulla popolazione in età da lavoro, che effettivamente lavorano.
Lavoro a termine e lavoro precario
In conclusione, ci sono più opportunità. Molte di queste opportunità sono a tempo determinato, ma non bisogna fare come fa qualcuno, che parla di lavoro precario (e comunque, i lavori a tempo indeterminato sono molti di più). Dietro il lavoro a tempo determinato c’è spesso il tipo di lavoro offerto (ad esempio nel turismo, che è stagionale), qualche volta c’è la volontà del lavoratore di fare un’attività a termine, e altre volte c’è la disponibilità delle imprese di trasformare per quelli a più alto potenziale il lavoro a tempo indeterminato. Certo, un mercato più flessibile, richiede anche lavoro flessibile, ma questa è una tendenza che va compresa e misurata in relazione alle maggiori opportunità complessive. Non tutti i lavori crescono, quelli a contatto con la tecnologia e con i servizi più degli altri. Quindi motivi per essere – cautamente – ottimisti ci sono. Se la ripresa economica continuerà, si aprono maggiori spazi per tutti.